NOTE DI PRODUZIONE
Nel 2007 ricorre il trecentenario della
nascita di Carlo Goldoni forse il più importante
autore italiano teatrale di tutti i tempi. Tra gli innumerevoli
testi che ha scritto, uno dei suoi capolavori è senz'altro
LA LOCANDIERA.
Il 22 aprile 1979 Giancarlo Cobelli in occasione dell'inaugurazione
del Teatro Goldoni di Venezia appena restaurato, allestì
una celebre edizione de La Locandiera, con Carla Gravina
protagonista. Lo spettacolo conobbe un tale successo da
essere rappresentato per ben tre stagioni di seguito. Quello
spettacolo "passò alla storia"; fu infatti
salutato dall'ambiente teatrale come una svolta nelle regie
goldoniane. Non ne veniva fuori una Mirandolina raffinata,
come per esempio quella Morelli-Visconti che pure rivoluzionò
tanti luoghi comuni goldoniani, ma un personaggio - e uno
spettacolo - duro e elegante un po' "noir", con
una forte componente erotica e di conflitto sociale. Ne
fu fatta una versione televisiva il cui DVD nello scorso
dicembre è stato commercializzato da RaiCinema-01
nelle librerie e ha riscontrato un enorme successo. Molti
anni dopo lo stesso regista sceglie Mascia Musy, per rinnovare
questo suo capolavoro. Il ruolo che fu di Pino Micol è
ora interpretato da Francesco Biscione, la parte del Marchese
è affidata a Paolo Musio, il Conte è Massimo
Cimaglia e Fabrizio Andrea Benedet.
Il genio di Cobelli si è particolarmente
incentrato sulla recitazione cercando ritmi “umani”
con un respiro diverso da quei ritmi vertiginosi che la
televisione ci impone e che spesso ritroviamo nel nostro
quotidiano. Ogni battuta è soppesata e calibrata
in ogni suo piccolo particolare. Sono soprattutto i giovani
a subire maggiormente il fascino di uno spettacolo che oltre
a creare una dimensione diversa e lontanissima da quella
televisiva, rende ai personaggi goldoniani uno spessore
ben più marcato dagli “a parte” ai quali
erano relegati. Insomma uno spettacolo da non perdere non
solo perché in esso traspare fortemente tutto il
meglio del grande maestro Cobelli, ma perché è
forse una delle poche, ultime occasioni di vedere uno spettacolo
teatrale tanto moderno nella regia, quanto classico in un
rigore di cui il nostro ambiente si sta sempre più
depauperando. In un quotidiano dove si parla tanto e si
ascolta poco: uno spettacolo che spinge all'ascolto. Fermate
per una sera la frenesia e la televisione, e godetevi un
diverso ritmo, una diversa serata, una diversa LOCANDIERA.
Claudio Padovani
NOTE di REGIA
Dice (l’Autore a chi legge):
“Fra tutte le commedie da me
sinora composte, starei per dire essere questa la più
mora, sembrerà ciò essere un paradosso a chi
soltanto vorrà fermarsi a considerare il carattere
della locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto
altrove una donna più lusinghiera, più pericolosa
di questa…
… Mirandolina fa altrui vedere come s’innamorano
gli uomini…
…Dice delle tronche parole, avanza degli sguardi,
e senza ch’ei se ne avveda, gli dà delle ferite
mortali.
Il pover’uomo conosce il pericolo, e o vorrebbe fuggire,
ma la femmina accorta con due lagrimette l’arresta,
e con uno svenimento l’atterra, lo precipita, l’avvilisce…
…Ma venutomi in mente, che coteste lusinghiere donne
sogliono quando vedono ne’ loro lacci gli amanti,
aspramente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa
barbara crudeltà.”
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Chissà se Goldoni costretto in
esilio a Parigi dagli eventi, e proprio negli anni della
storica Rivoluzione, ripensando alla padrona di locanda
Mirandolina, non abbia riconosciuto profetico l’approdo
che lui stesso ha designato alla sua grande protagonista.
Infatti, come la Rivoluzione francese ha
traghettato il vecchio mondo verso un rinnovamento, così
“Mirandolina”, futura incarnazione di una intraprendente
donna d’affari, spalanca la finestra al nuovo secolo
e ne scaraventa fuori merletti, parrucche, jabeaux, tricorni
e bautte; reperti di un Settecento in agonia.
Si focalizza così la magia di un apparente darsi
convegno nella locanda di tre prototipi: Marchese, Conte
e Cavaliere, tre accaniti sostenitori di stemmi nobiliari,
di albagie al suon di zecchini d’oro e di ciniche
filosofie del disincanto.
I malcapitati, resi ciechi da un Cupido malnato, offrono
il collo alla mannaia della seduzione e dei ben recitati
raggiri della lungimirante femmina, altro che le due comiche
mestieranti della ipocrisia che, intrufolatesi nella locanda
sotto teatrale spoglie si spacciano per alte dame!
La lungimiranza di Mirandolina mascherata da lagrimuccie
studiate, finezze sottomesse, svenimenti e altre civetterie
muliebri, fa germogliare sul ceppo dei condannati il fiore
dell’abilità organizzativa e del concreto calcolo:
i nuovi araldi di un Ottocento commerciale e borghese.
Vita nuova, aria nuova!
Questa è la fine e la fede matrimoniale che Mirandolina
infila al dito di Fabrizio, suo cameriere fedele, giovane
disposto a tutto, comprese le affaristiche pretese della
padrona.
Intervista di Raffaele Squillacioti
a Giancarlo Cobelli.
Note di Mascia Musy sul suo personaggio (da un'intervista)
La mia Mirandolina l’ho costruita con Giancarlo Cobelli
partendo dalla lettura della prefazione al testo dello stesso
autore. Carlo Goldoni, parlando del personaggio di Mirandolina
scrive che “ella darà al Cavaliere delle ferite
mortali”.
Questa frase ci ha fatto riflettere sul potenziale omicida
del personaggio. Insomma in realtà Mirandolina sarebbe
una vera assassina, l’assassina del Cavaliere.
E non solo, perché in sintonia con questa energia
omicida, Mirandolina avrà addirittura la forza di
“assassinare” un secolo, spazzando via dalla
sua locanda (a fine commedia) Cavaliere, Marchese e Conte
cioè il ‘700 con la sua nobiltà decadente,
per far posto al nuovo ‘800 con la sua nascente borghesia.
Iniziando da qui, abbiamo costruito un personaggio potente,
per la sua intelligenza ma anche per il suo temperamento
femminile. Abbiamo immaginato una donna lontana da frizzi
lazzi smorfiette e moine, una donna che si misura ogni giorno
con una realtà complessa e faticosa, una donna che
sgobba dalla mattina alla sera, che deve tenere in attivo
la sua locanda, che deve continuamente difendere la sua
posizione di capo d’azienda, soprattutto di fronte
alle continue pressanti mire dei suoi clienti-spasimanti.
Così Goldoni non poteva trovare per Mirandolina un
nome più appropriato: colei che viene ammirata suscitando
le mire dei pretendenti, ma anche colei che mira dritto
al cuore della sua preda.
Compiuto il suo “assassinio del Cavaliere” (siamo
ormai al III° atto), il matrimonio con il servo Fabrizio
è un’ unione che ha sapore di matrimonio borghese,
ottocentesco. Non sarà un matrimonio d’amore,
un matrimonio da innamoramento, ma piuttosto un matrimonio
salvifico con il quale Mirandolina si mette al riparo dopo
aver agito con tale pericolosa violenza, dalla cui esperienza
imparerà a non rischiare mai più (nel sottofinale
dopo aver affermato di voler sposare Fabrizio dice “Sinora
mi sono divertita e ho fatto male, mi sono arrischiata troppo
e non lo voglio fare mai più”). Con questo
matrimonio Mirandolina certo si salverà dal pericolo
in cui si è cacciata, tuttavia la sua vita di locandiera
dovrà cambiare (ella dice nell’ultima battuta
della commedia “…Cambiando stato voglio cambiar
costume..”), ma il futuro della maritata Mirandolina
e della sua locanda Goldoni lo consegna alla nostra fantasia.
Mirandolina è fra i personaggi più affascinanti
e più difficili del nostro teatro. Perchè
oltre all’energia che possiede, ha in sè da
un lato un magico potenziale femminile (più volte
citando Mirandolina i personaggi usano l’espressione
..“m’ha stregato”), e dall’altro
un istintivo profondo spirito imprenditoriale decisamente
maschile. Questa combinazione produce un personaggio esplosivo.
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